Bambini, educatori e insegnanti chiamano più facilente gli aspazi esterni: giardino. Nome entrato nellinguaggio di tutti i giorni peri indicare quella zona sicura, protetta, controllata, dove i bambini possono stare all'aperto. Cosa ancor più preziosa oggi, tempo in cui le abitudini sono mutate e la strada, la piazza, il cortile non sono i posti di una volta.
Il giardino è il luogo amato dai bambini, ricercato al punto che in certi momenti, o periodi, diventa insistente questa domanda: " Quando usciamo?" damanda che circola anche nelle giornate solitamente considerate impossibili, a volte dettata solo dla bisogno di un'altra dimensione.
Basta osservare come giocano all'aperto per capire questo lro rapporto con il fuori. Ad esempio, c'è il tempo della corsa, subito interrotta quando l'occhio si posa su un piccolo particolare.
Oppure c'è quella pozza d'acqua che rimane il giorno dopo la pioggia e che diventa un laboratorio in miniatura per impasti di acqua e terra.
Non si può negare quel modo di vedere il giardino come qualcosa di diverso dalle proposte più evidentamente didattiche. E questo vale a volte anche per la scuola. In giardino si va a lavori finiti, o per contenere quella impellente voglia di muoversi dei bambini, per asciugare quelche lacrima, per far fonte a variabili impreviste.
Situazioni senz'altro importanti ma non uniche. Pesa anche l'idea che il "fuori" non sempre può dare prove concrete di un lavoro fotto con i bambini.
Ci sono molti timori che accompagno l'uscita di questi bambini dai più semplici, legati al clima: troppo caldo, troppo freddo, troppo incerto; quante raccomandazioni: non sudare, non correre troppo, non sporcarsi. A quelli più frofondi: che il bambino possa cadere, incontrare dei pericoli, farsi male; che le corse sfrenate dei grandi possono sopraffare i più piccoli; e, infine, che si possono incontare le spiacevoli sorprese che il nostro mondo riserva.
Il girdino appare spesso come un luogo che espone i bambini a qualche rischi, preoccupazioni che passano dalla mano del genitore alla mano dell'educatore.
Il giardino è il luogo amato dai bambini, ricercato al punto che in certi momenti, o periodi, diventa insistente questa domanda: " Quando usciamo?" damanda che circola anche nelle giornate solitamente considerate impossibili, a volte dettata solo dla bisogno di un'altra dimensione.
Basta osservare come giocano all'aperto per capire questo lro rapporto con il fuori. Ad esempio, c'è il tempo della corsa, subito interrotta quando l'occhio si posa su un piccolo particolare.
Oppure c'è quella pozza d'acqua che rimane il giorno dopo la pioggia e che diventa un laboratorio in miniatura per impasti di acqua e terra.
Non si può negare quel modo di vedere il giardino come qualcosa di diverso dalle proposte più evidentamente didattiche. E questo vale a volte anche per la scuola. In giardino si va a lavori finiti, o per contenere quella impellente voglia di muoversi dei bambini, per asciugare quelche lacrima, per far fonte a variabili impreviste.
Situazioni senz'altro importanti ma non uniche. Pesa anche l'idea che il "fuori" non sempre può dare prove concrete di un lavoro fotto con i bambini.
Ci sono molti timori che accompagno l'uscita di questi bambini dai più semplici, legati al clima: troppo caldo, troppo freddo, troppo incerto; quante raccomandazioni: non sudare, non correre troppo, non sporcarsi. A quelli più frofondi: che il bambino possa cadere, incontrare dei pericoli, farsi male; che le corse sfrenate dei grandi possono sopraffare i più piccoli; e, infine, che si possono incontare le spiacevoli sorprese che il nostro mondo riserva.
Il girdino appare spesso come un luogo che espone i bambini a qualche rischi, preoccupazioni che passano dalla mano del genitore alla mano dell'educatore.
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